ore 14 circa.
in cielo, un caldo sole siciliano.
in giro, nessuno.
improvvisamente, una porta color alluminio si apre, e ne esce un bambino di 8-9 anni, con un pallone sotto il braccio.
si guarda intorno, e non vede un'anima viva.
e dire che, fino a poche ore prima, c'erano tutti.
i suoi amici coetanei di tutti i giorni, quelli con cui condivideva tanti, divertentissimi giochi, dai classici nascondino e acchiapparello, alle ineguagliabili corse in bicicletta, scegliendo come "circuito" tutta la strada principale del quartiere.
una strada magica, dove le macchine degli adulti parcheggiate sembravano immobili nello stesso punto da millenni, nessun'altra macchina giungeva mai a rompere quella quiete, come se una catastrofe si fosse abbattuta su quei luoghi, congelando il tempo e le cose.
e poi c'era la fila continua e regolare dei pali della luce, che svettavano verso l'alto nella loro altezza metallica color verde scuro, come fantasmagoriche figure longilinee disposte lì a fare la guardia lungo la perpendicolare della strada.
adesso, alle 14, sotto il sole cocente, non c'era più nessuno.
che fine avevano fatto tutti gli altri bambini?
qualcosa la sapeva, tramite i loro discorsi era riuscito a raccogliere abbastanza informazioni per ricostruire la loro vita in quei momenti.
dicevano che alle 13 era ora di mangiare, e infatti a quell'ora, puntualmente, tutte le mamme si affacciavano alla finestra per richiamare i loro figli, anche sua nonna usciva fuori per dirgli di entrare, che il pranzo era pronto.
a quel richiamo, non dissimile da una voce primitiva che catturi a sè l'uomo nelle profondità di un'immensa e verdeggiante foresta, tutti i bambini andavano a rinchiudersi nelle loro case, lui compreso.
poi, però, dopo nemmeno un'ora, finito di pranzare, lui usciva di nuovo.
e non trovava più nessuno.
forse il pranzo degli altri bambini aveva una durata maggiore del suo, e così, quando lui era già fuori pronto a giocare ancora, per tutto il pomeriggio, finchè la voce della nonna non lo avesse richiamato ancora per la cena, loro si attardavano ai tavoli davanti a portate che immaginava gigantesche, per giustificare una tanto prolungata assenza.
o forse le cose andavano diversamente.
semplicemente, quei bambini, dopo mangiato, si concedevano un riposo pomeridiano, sebbene lui non riuscisse a comprendere la ragione di un simile riposo, dopotutto l'atto del mangiare non gli sembrava tanto faticoso da richiedere una pausa tanto lunga, certo di almeno un paio d'ore, visto che mai gli capitava di veder uscire uno di quei bambini prima delle 16...
no, doveva esserci senz'altro un'altra ragione.
forse un rito inizatico, qualcosa di molto profondo e misterioso che si svolgeva all'interno di quelle case dalle persiane sempre ermeticamente chiuse, qualcosa di talmente angosciante e spaventoso da far rabbrividire, e chissà perchè, per quei riti, era richiesta la presenza dei bambini, chissà a cosa venivano sottoposti, quali atroci supplizi dovevano sopportare...
mille volte e più aveva covato dentro di sè il desiderio di avvicinarsi a una di quelle case, e provare a spiare da una delle finestre, per capire cosa succedeva all'interno.
ma non ebbe mai il coraggio di farlo.
temeva di essere scoperto, temeva di scoprire cose che non doveva sapere, cose troppo grandi persino per lui, che dopotutto era solo un bambino di 9 anni.
e poi, in qualche modo, si sentiva un privilegiato: quale che fosse la natura di quei misteriosi riti, lui poteva ritenersi fortunato a non esservi coinvolto, usciva sempre di casa alle 14, nessuno lo tratteneva mai, e così, nella più assoluta e tranquilla solitudine, lasciava scorrere il suo pallone lungo un selciato interminabile, correndo a più non posso come il padrone del mondo, e ogni tanto lanciava il pallone contro un muro, aspettando che tornasse, per poi riprenderlo e ricominciare, tutte le volte che voleva...
- Spoiler:
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quello che avete letto è un racconto di mia invenzione, nel quale ho cercato, per quanto mi è stato concesso dal "mezzo" narrativo, di raccontare una mia esperienza dell'infanzia, quando uscivo di casa dopo pranzo e non trovavo mai nessun bambino per giocare al pallone
i miei pensieri e le mie paure di quei giorni, sono tutti condensati nel racconto...spero vi sia piaciuto